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MARTEDÌ 3 GENNAIO 2023 - ESCLUSIVE

“IO, SARDA, TIFO NAPOLI PER MARADONA. STADIO? EMOZIONI MAGICHE!”: LA STORIA DI CRISTINA, EX CALCIATRICE CON L’AZZURRO NEL CUORE


Cristina Carta, ex calciatrice, una breve parentesi da arbitro è di Bosa ed è tifosissima del Napoli


 
     
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A cura di: Maria Villani
Fonte: Napolicalcionews

È una mamma, briosa, allegra, una simpaticissima signora, una gran tifosa del Napoli e fin qui non c’è nulla di strano o di nuovo. Ma c’è una cosa che la rende davvero speciale, anzi unica: è che Cristina Carta, questo è il suo nome, è sarda. Nata e residente a Bosa con marito (juventino) e figli, è una grande supporter azzurra, nonché ex portiere di calcio in un’epoca in cui far calcio per una donna era non solo insolito ma addirittura sconveniente, un tabù. L’abbiamo incontrata grazie ad amici comuni lo scorso autunno, poco prima della pausa per i Mondiali in Qatar e lei ha accettato di raccontare in una lunga intervista se stessa, tutto il suo amore per il Napoli, la passione con la quale segue tutte le gare della squadra azzurra. Non solo: chiacchierando ai nostri microfoni, il discorso è caduto anche sullo sport in generale, e sulla poca attenzione riservata al calcio femminile nel suo Comune da parte delle istituzioni.

Cristina, come nasce la tua passione per il calcio?

Penso sia nata perché allora c’era solo il calcio: un po’ per ribellione… ero un maschiaccio e tuttora lo sono… allora per le donne non c’era niente. Si parlava solo di calcio.

Erano i primi anni ’70?

Anni ‘80

E da piccola seguivi il calcio in TV, Gigi Riva?

Più che seguivo, lo sentivo dai grandi. Non è che me ne importasse molto del calcio. Sentivo mio padre, gli anziani, allora si giocava tutti alle 15 e si seguiva tutti  puntuali il calcio alla radio. Personalmente ho iniziato ad appassionarmi a 16 anni quando sono entrata a giocare in una squadra di calcio femminile, andavo a giocare di nascosto da mio padre, che non ha mai voluto.

Come riuscivi a conciliare questo?

Invece di andarmene in giro come le mie coetanee per cercare il ragazzino, con mia sorella – anche lei giocava a calcio – ce ne andavamo agli allenamenti di nascosto. Il sabato e la domenica, invece di uscire per i giretti alla ricerca di un fidanzato, uscivamo con il cambio nello zainetto, le divise le avevamo al campo e andavamo a giocare a calcio.

Somiglia molto alla storia del film ‘Sognando Beckham’…

Ho anche le foto di quando andavamo a giocare di nascosto: uscivamo ben vestite, con le minigonne, i tacchi… ho le foto di quando mi dicono all’ allenamento: ‘ma perché sei truccata e hai gli orecchini eleganti?’. Ero anche tutta ben pettinata e mi dicevano: ‘Ma perché fai gli allenamenti così?’. E io dovevo spiegare che io e mia sorella ci andavamo di nascosto per via di mio padre… allora era un tabù fare uno sport – non necessariamente il calcio – uno sport per una donna. Tu dovevi stare a casa a fare l’uncinetto, a imparare a far da mangiare… siamo sempre riuscite a fargliela! Io ho giocato, alla fine sono diventata maggiorenne, lui non voleva e io andavo. Alla fine ha ceduto.

E quando lo ha scoperto come l’ha presa?

Bene, tanto ero già sposata! Però non ci ha dato mai la soddisfazione di venire a vederci giocare.

In che ruolo giocavi, Cristina?

Per la maggior parte ho giocato in porta. Venivo soprannominata – non scherzo – l’Uomo Ragno che, se ricordi, era il soprannome di Walter Zenga, per come mi vedevano giocare. Ed ho ancora la maglia personalizzata di Zenga, gialla con la ragnatela, ce l’ho ancora conservata. La fecero apposta per me, era diversa dalla divisa, io usavo sempre quella. Dagli spalti mi avevano soprannominata così nel mio paese, Bosa.

Hai giocato sempre  a Bosa?

Prima ho iniziato a giocare con una squadra di Tresnuraghes, un comune vicino Bosa, il paese di Elisabetta Canalis, mentre Virdis era di Bosa. E il Tresnuraghes era una bella squadretta, abbiamo fatto anche tantissime amichevoli con la Torres femminile e tante delle mie compagne erano brave e sono poi approdate alla Torres. Quando il Tresnuraghes ha abbandonato il calcio - il mister l’aveva portato a Bosa - molte ragazze invece di seguirlo a Bosa, hanno preferito fare il salto di qualità a Torres.

E giocava in Serie C?

Sì, Torres e Tresnuraghes giocavano in Serie C, con la FIGC, era un girone molto particolare. Era bello, mi piaceva, ci ho giocato per tanti anni.

Personalmente ti vedevo più come attaccante.

Giocavo anche da attaccante, eravamo in tante e il mister sfruttava le mie due doti. Però mi piaceva molto, molto di più giocare in porta.

Come cambia la visione calcistica dalla porta rispetto all’attacco?

Cambia: anche se per me in porta era un po’ una paranoia. O meglio, dipendeva dalla squadra che incontravi: a volte dovevi aspettare che ti arrivassero i palloni da giocare. Eri protagonista a seconda della squadra che ti capitava. Quando facevo l’attaccante mi stancavo di più perché correvo.

Ti piaceva di più giocare in porta perché magari preferivi orchestrare tu la difesa?

Mi piaceva molto giocare in porta perché… ma sai, quando mi sentivo dire dalle ragazze: ‘brava’, anche se prendevo una rete, mi incoraggiavano lo stesso… non so… magari forse neanche ci pensavo. Adesso non te la so dire la vera motivazione. Eravamo talmente prese dal calcio, non è come oggi e me ne accorgo da mio figlio che gioca anch’egli a calcio. Lui è preso di più dal ruolo, dal segnare! Ecco, lui vuol giocare perché deve per forza segnare. A noi non importava affatto di segnare, era un ruolo di squadra e ognuno aveva il suo. Invece con mio figlio, quando lo accompagno agli allenamenti, vedo che bisticciano perché non vogliono quel ruolo perché non possono segnare e chiedono al mister anche di tirare il rigore. Tra noi ragazze era diverso, ci dicevamo: ‘no, quel rigore tiralo tu’. Adesso si buttano tutti, è protagonismo, un modo diverso di vedere il calcio, anche tra i bambini, che a me non piace affatto. Anche se perdevamo, noi negli spogliatoi festeggiavamo uguale, ci divertivamo. Ovvio che restava l’amarezza della sconfitta, ci dispiaceva, ma il fatto di esser fuori, giocare una partita, conoscere altre persone, era la cosa più spettacolare.

E con l’avversario?

Con  l’avversario abbiamo sempre avuto ottimi rapporti. Personalmente in tanti anni, 15, in cui ho giocato, non ho mai avuto né un cartellino rosso e neanche uno giallo! Ne ho preso uno una sola volta: da mio marito, che arbitrava una partita di calcetto di noi mamme. Ci siamo ritrovate tutte noi ex compagne, sposate, con figli. Non avevamo a disposizione un campo grande e allora abbiamo ripiegato sul calcio a 6. Abbiamo contattato le altre squadre, contentissime, ed organizzato un torneo amichevole e come arbitro ecco mio marito, che è arbitro, appunto. Ed è curioso l’episodio della mia ammonizione: gli avevo detto una cosa e lui ha preso e mi ha mostrato il cartellino. Ho pensato: ‘ma in 15 anni mai ammonita e ora mi ammonisce lui?’ e me la son presa con lui: ‘Come ti sei permesso?’ (ride).

Tornando al film ‘Sognando Beckham’, le giocatrici di Inghilterra e Germania, dopo la finale europea, vanno a ballare insieme in discoteca…

Noi eravamo amiche…

Dunque risse mai?

Mai alle mani, qualcosa c’era ma finiva lì. Poi si usciva tra di loro, io no, magari per via di mio padre. Però ecco capitava che le ragazze erano amiche delle calciatrici del paesino avversario, ed uscivano insieme senza problemi. E l’arbitro era rigido e questo mi piaceva, ora questo non c’è più. Quando l’arbitro entrava ci dovevamo alzare in piedi.

Come un professore?

Esatto! In FIGC per forza. Ti chiamava per l’appello, ti alzavi, ti giravi  e dicevi ad alta voce il tuo numero di maglia. Una volta ricordo di essere arrivata in ritardo ed aver preso la multa.

Dalla  società?

Sì, perché eravamo iscritte in FIGC. Se non erro in lire si pagava quasi un milione e mezzo… sulle magliette non avevamo neppure la pubblicità, nel calcio femminile ci finanziavamo noi. Era rigido, dovevamo essere tutti perfetti. I nostri campi non erano come quelli di adesso che se cadi non ti fai niente…

Erano quelli sterrati?

Tutti sterrati, ti racconto solo un aneddoto. C’è stata l’amichevole con la Torres…

Riesci a ricordare l’anno?

Anni ’90.  Quando andammo a Torres, squadra conosciutissima di Serie C, e vedemmo il campo in erba… sembrava avessimo visto chissà che! Cominciammo tutte a saltare di gioia: ‘C’è l’erbetta, che bello! Ma dobbiamo giocare qua?’. E dire che noi eravamo abituate a giocare sui campi con le pietre, infatti ho ancora i segni delle cicatrici sulle gambe.

Anche con le ginocchiere?

C’erano ma a me non servivano tanto, da portiere indossavo i pantaloni lunghi. Eppure uscivo con certi buchi nei pantaloni… e i gomiti… dei calci in faccia che mi sono presa non te ne parlo neanche… però, lo dico sempre a mio figlio, il calcio di adesso è bello, ma anche lui è fissato con il gol… glielo dico sempre: ‘non importa segnare’, invece lui niente.

Cristina, tu sei stata anche arbitro?

Sì ma per poco tempo, ho arbitrato un paio di partite poi mi sono ritirata e l’ho fatto perché la FIGC mi poteva mandare ovunque e non avevo i mezzi per raggiungere tutte le località e a volte ci rimettevo, magari pagando la benzina ad un altro. Poi vedendo una donna ad arbitrare i ragazzi, quelli non volevano neanche giocare. Mi son detta: ‘ma vengo qui a farmi picchiare?’, ho mollato tutto. Eppure mi chiamavano ad arbitrare le partite dei ragazzini dell’età di mio figlio, mi prendevano in giro. Fare l’arbitro non faceva per me.

E come allenatrice?

Me l’hanno chiesto però magari chissà, l’anno prossimo. Allenare mi piace molto. Ci sono tante bambine che vogliono giocare anche se non c’è più una squadra di calcio femminile da noi e allora le femminucce giocano insieme ai maschietti. Solo che a una certa età con i maschietti non si può più giocare e allora queste ragazzine rimangono così, in sospeso. Mi piacerebbe partire dai piccoli.

5 anni?

Sì, 5 o 6 anni. L’assicurazione parte da quell’età, perché vanno assicurati i piccoli. Poi non è così facile anche perché oggi ci vuole un capitale per farti una squadra, devi avere tutte le carte in regola. Quando giocavamo noi non era così, ci bastava lo spazio. Oggi ci vogliono le palestre e nel mio paese non ci sono questi spazi appositi: il campo è solo uno e le squadre sono due, la Calmedia e il Bosa - parliamo di pallavolo - e tra loro c’è sempre rivalità, non si allenano insieme, si fanno un po’ di ‘guerra’. C’è poco spazio e ci sono svariati sport: judo, pallavolo, 2 società, ballo, 2 società di calcio e il canottaggio (avendo il fiume), il tennis, il basket. Insomma, tanti sport, poco spazio e il Comune non ha una palestra per poter far giocare tutte queste squadre e usano le palestre delle scuole. Però anche con questo sistema gli orari sono sacrificati. Mia figlia che fa pallavolo, ad esempio, ha il turno dalle 20 alle 21, un po’ tardi, ancora più tardi tocca alle ragazze più grandi, dalle 21 alle 22.

Il tuo progetto allora sarebbe quello di creare una squadra di calcio per le ragazzine ed accompagnarle nel loro percorso calcistico?

Esatto, farle giocare finché hanno voglia. Io ho giocato anche dopo sposata, il famoso incontro di calcetto di noi mamme, è uscito anche un articolo sul giornale sul nostro torneo.

E la gente è intervenuta, avevate i tifosi?

Sì! Questa volta avevamo i tifosi e ci piaceva di più perché erano più contenti nel vedere le ragazze giocare, più entusiasmo. Ho trovato un’atmosfera diversa rispetto a quando avevo lasciato.

E quando giocavi i tifosi c’erano sugli spalti?

Sì, quello sì.

Tifosi o semplicemente curiosi di vedere giocare le ragazze magari per guardare le gambe?

Beh venivano per quel motivo,  ma c’era anche chi veniva per sostenerci.

Nell’anno di A del Napoli femminile nel 2012-13 sugli spalti c’erano gli ultras a fare il tifo e si giocava allo Stadio Collana…

No, quello no, venivano certo perché era di domenica. Chi ci sosteneva erano nostri parenti e amici ma niente ultrà. Noi, nei paesini di Sardegna, dove c’era il tabù… donne a fare sport? Guai! Oggi come oggi invece è tutto l’opposto: ogni genitore dice di un figlio: ‘no, lo sport lo deve fare!’, non come prima. Ripeto, andavamo di nascosto a giocare a calcio io e mia sorella, rinunciando ad andare a passeggio.

E anche tua sorella ha continuato con il calcio?

No, lei no. Veniva per farmi compagnia ma non era così appassionata come me. Per la verità lei faceva più panchina che campo.

Avevo immaginato una famiglia di sportive…

Lei veniva perché le piaceva…

Ma anche tua sorella tifa Napoli?

No, purtroppo lei è juventina… l’unica bosana autentica tifosa del Napoli sono io. Ce ne sono altri di tifosi del Napoli a Bosa ma sono napoletani trapiantati lì.

Come una bosana può esser diventata tifosa del Napoli?

Il grande Maradona! L’avevo visto giocare, mi ricordo che mio padre, interista, lo guardava durante la partita Napoli-Inter. E vedi questa azione di questo ragazzo ricciolino che schivava lì tutti  e chiesi a mio padre: ‘Ma chi è quello lì che sta giocando così?’. Poi mi affascinò tantissimo il suo modo di palleggiare: quando alla TV mostravano gli allenamenti e lui che palleggiava, mi incuriosivo tantissimo. Mio padre mi disse: ‘È argentino e gioca nel Napoli’. Allora presi i giornali, mi informai e cominciai ad appassionarmi al Napoli.

E segui il Napoli dal 1984?

Sì, da Maradona. Lo dico sempre a tutti coloro che me lo chiedono: tifo Napoli per lui, mi è sempre piaciuto Maradona e il suo modo di giocare. E poi anche perché volevo essere un po’ un pesce fuor d’acqua perché intorno a me c’era solo Juve, Milan, Inter… e sentire sempre le stesse squadre…

Ma nessuno tifa Cagliari?

Sì, ci sono i tifosi del Cagliari nella mia zona e anche a me piace ma il tifo  è per il Napoli, anche quando si gioca Napoli-Cagliari o Cagliari-Napoli.

È una cittadinanza del cuore…

Mi dicono anche: ‘Ma come fai, è la tua terra!’ e io rispondo: ‘Ma come fate voi?’ In tanti quando c’è Juve-Cagliari tifano Juve! Quindi io dico: ma perché dovete chiedere a me come faccio a tifare il Napoli con il Cagliari? È una domanda da fare anche a loro! Ma che domanda stupida mi fanno juventini, interisti, milanisti… anche voi siete bosani come me! Per me è una domanda stupida.

Magari se te la fa uno che tifa Cagliari…

Io ci tengo alla mia terra, per carità. Quando non gioca con il Napoli io me la guardo la partita del Cagliari e sono anche contenta quando vince, ma se gioca con il Napoli io tifo Napoli, non ce la faccio a tifare Cagliari!

E come è stato in questi anni e  com’è oggi tifare Napoli in un ambiente completamente estraneo?

I primi anni mi piaceva molto, poi mi sono un po’ distaccata perché mi ha deluso tantissimo, era zero. È da un paio d’anni che il Napoli si sta risollevando, anzi diciamo che prima dell’era De Laurentiis era un Napoli un po’ deludente.

Una quindicina d’anni allora.

Per un paio d’anni è stata una squadra un po’ deludente, non vincevamo niente. In questi anni invece si parla tantissimo del Napoli anche nel mio paese e perché se ne parla, perché arriva sempre nelle prime posizioni o vince qualcosa, altrimenti rimane indietro e ne parlo solo io.

E come se ne parla del Napoli?

Se ne parla bene, anzi ne hanno sempre parlato bene, anche quei tifosi dell’Inter ad esempio, di Maradona hanno detto sempre cose belle. Quando parlano di Napoli parlano di Maradona e viceversa: quando parlano di Maradona, parlano di Napoli. Io poi non vivo come la vivete voi questa ‘gloria’ del Napoli, perché vivendo in Sardegna, sono da sola e anche se vince, sono contenta.

Non puoi esultare come vorresti.

Non posso esultare… l’altro giorno quando sono venuta alla partita (Napoli-Bologna dello scorso 16 ottobre), non immagini per me stare qui in mezzo la felicità che ho provato! Per me, anche se non sono riuscita ad entrare nello stadio, stare soltanto in mezzo a tutti quei tifosi del Napoli, era il massimo! Avrei dato l’anima pur di star dentro, mi sono commossa! Una grande emozione, bellissima e mi sono goduta l’esperienza, la vista di tutte quelle magliette del Napoli… ho comprato di tutto e di più, magliette, bandiere.  Poi quando ho visto il pullman… ho fatto anche il video e me lo riguardo ancora. Non sono entrata ma per me è stato come essere dentro lo stadio! Mio marito, poi, pur essendo juventino, è rimasto con me a seguire la partita da fuori.

Avete visto la partita fuori lo stadio dunque.

Abbiamo visto il secondo tempo in televisione, nel primo tempo siamo rimasti fuori allo stadio. E già sentire le urla era un’emozione perché dava l’impressione del gol.

Siete rimasti ad ascoltare gli umori insomma.

Sì, ascoltavamo le voci dall’esterno e cercavamo di interpretarle. Guarda anche la questione dei gadget che sembrano cavolate: io ho dovuto cercare su internet la tuta del Napoli che volevo. Da noi i negozi non ci sono e anche se li portano li devono portare solo per me. Le altre squadre, le solite, le trovi sempre e dappertutto, insieme al Cagliari, il Napoli no, perché non c’è una grandissima vendita. Ho anche scoperto che un finanziere che conosco è tifoso del Napoli. L’ho scoperto una volta andando a fare la spesa al supermercato con la tuta del Napoli, l’ho incontrato e mi ha detto: ‘Bella la tuta’. ‘Ti piace?’, ho risposto, ‘Beh, se non piace a me… Sempre Forza Napoli, sono tifoso del Napoli’. Ho detto: ‘Finalmente un altro’, ma nello stesso tempo sono anche rimasta delusa perché lui è napoletano e vive a Bosa.

E vi vedete tu e gli altri tifosi del Napoli a Bosa?

Con questo tifoso ed un altro ci vediamo e ci parliamo sempre perché siamo molto amici. La moglie, bosana, mi ha anche scritto su Facebook prima del mio viaggio a Napoli chiedendomi un gadget per il marito, napoletano, trapiantato in Sardegna.

Ed anche i figli sono tifosi del Napoli?

Tifosissimi! Hanno anche la macchina tutta adorna.

Si potrebbe fare un club Napoli Sardegna.

Sicuramente ce ne sono in Sardegna, ma io non mi metto a parlare di calcio con tutti, anche nei  gruppi dove parlo di calcio su Facebook sono con persone di Napoli, che mi chiedono l’amicizia vedendo lo stemma del Napoli. Anche i miei amici Maurizio e Nunzia con i quali ho seguito la partita, li ho conosciuti ad esempio su Tik Tok.

Come vi siete conosciuti?

Ho visto Maurizio su Tik Tok, notai la sua tuta del Napoli uguale alla mia. Gli feci i complimenti commentando così: ‘Sono tifosa del Napoli e sono sarda’. In seguito sono entrata in una sua diretta con dei commenti, abbiamo iniziato a scambiarci idee.

Da quanto tempo vi conoscete?

Un annetto più o meno. Mi colpì la tuta uguale alla mia e abbiamo fatto la foto tutti e tre (Cristina, Maurizio e Nunzia, ndr) con indosso la stessa tuta. Quando poi sono venuta a Napoli al mercatino ho comprato la polo del Napoli, tutte cose che dalle mie parti non trovo… poi Maurizio mi mandò anche l’uovo del Napoli a Pasqua e ho conservato l’involucro, con tanto di Super Santos azzurro, cosa che i miei figli assolutamente non possono toccare, anche perché se si rompe non posso ricomprarlo.

Sì ti tocca ordinarlo.

È  diverso tifare Napoli qui e tifarlo in Sardegna. Qui è una malattia! Domenica scorsa (la domenica di Napoli-Bologna, 16 ottobre, ndr) sembravate in festa e io mi guardavo tutti, le famiglie tutte bardate in azzurro: uno spettacolo! Figuriamoci poi quando riesco a entrare nel campo e ci sono riuscita all’indomani, abbiamo anche fatto le foto, visto tutto lo stadio.

Hai mai incontrato Gianfranco Zola, autentico trait-d-union tra Napoli e la Sardegna?

No, la verità no. Virdis sì. Anche perché poi Zola è stato sempre fuori, in Inghilterra. Da Cagliari a Bosa, poi, sono quasi 3 ore di macchina e c’era tanta povertà ai miei tempi, giocavo a calcio ma non sono mai andata allo stadio a vedere giocare il Cagliari. Non eravamo nel ‘giro’. Con Virdis era diverso.

Mi racconti un po’ di Virdis?

L’ho incontrato qualche volta, nessuna occasione calcistica per incontrarlo.

E lo incontri adesso?

No, non vive da noi a differenza della sorella che è medico ed è anche una bravissima persona, la incontro spesso. Ma tra Virdis e Zola chi è più amato è Zola, quando si parla di calcio si parla di lui, di Zola, anche nel mio paesino.

Quante ragazze seguono il calcio a Bosa?

Tante, dai.

Confermi dunque che Bosa è un paese di sportivi?

Sì, tra calcio, con due società, pallavolo, due società, Judo, canottaggio, basket, ballo sportivo e chi allena i ballerini è diventato campione d’Italia e una ragazza del mio paese ha vinto la medaglia d’oro nel canottaggio. Sì, è un paese di sportivi.

E  alla luce di questa sportività, le ragazze seguono il calcio con uno spirito diverso?

Sì, perché ci sono tantissime ragazzine che giocano nella squadra maschile. Peccato manchi la squadra femminile, ecco che le femminucce stanno virando sulla pallavolo, una società addirittura ne annovera una cinquantina e lo fanno per rimediare, mentre la pallavolo maschile non va ed è un peccato.

Il rapporto con il marito juventino?

Diciamo che c’è uno sfottò reciproco nel quale, attualmente, sto vincendo io. Certe mattine, quando c’è la partita o sparisce lui o sparisco io, spesso sparisce lui dopo la vittoria del Napoli perché già sa il mio buongiorno… è bravo, mi sostiene molto, mi aggiorna sui risultati quando per lavoro non posso seguire, non mi fa mancar nulla del Napoli ma è uno juventino dentro. Pensa che non è neanche iniziata la partita dice: ‘Tanto vinciamo!’ così convinto… io rimango lì composta e se vinciamo noi il mattino dopo lui non parla più di calcio. Però, ripeto, è bravo ed è stato lui a farmi sapere che il nostro viaggio poteva coincidere con la partita in casa del Napoli.

Ed era la prima volta a Napoli?

Sì, tranne una ‘toccata e fuga’ in attesa della Calabria. Ed è stato il regalo di mio marito portarmi a Napoli. Pensa che per l’amore per me segue anche il Napoli, se non gioca la Juve. Sono riuscita a dare un po’ di Napoli a mio marito e anche ai miei figli.